La diminuzione dell’acetilcolina a livello cerebrale è il principale fattore alla base della perdita della memoria nell’anziano. I moderni farmaci della medicina ufficiale vertono tutti ad aumentare la concentrazione di questa preziosa sostanza, si chiamano farmaci anti acetilcolinesterasici e danno risultati clinici molto modesti. In concreto sono utili nel mantenere la memoria, il pensiero, la capacità di parlare e svolgere delle semplici attività quotidiane per tempi brevi e transitori (alcuni mesi) ma purtroppo non possono invertire la progressione della malattia. I più utilizzati e conosciuti sono il Donezepil, la Rivastigmina, e la Galantamina che deriva dal Narciso.
Gingko Biloba
Il Ginkgo Biloba, molto utilizzato come integratore alimentare, ha un’azione del tutto sovrapponibile a quella del Donezepil come inibitore dell’acetil-colinesterasi ma con effetti collaterali minimi. Avrebbe un’azione antiaggregante, vasodilatatrice, antiossidante e rimozione dei radicali acidi,” Chan, Courrent Therapy” 2009.
In un lavoro pubblicato su “JAMA” 1997, vengono riportati dei risultati positivi nel trattamento con 120 mg/dì di Ginkgo per 52 settimane in pazienti con lieve o moderato deficit cognitivo e in Alzheimer conclamato. Le ultime revisioni della letteratura non concordano con questi risultati.
In uno studio di scuola italiana pubblicato sul “European Journal Neurology” 2006, viene testato un derivato del Ginkgo denominato EGb 761 versus Donezepil, (inibitore colinesterasico di seconda generazione) e più precisamente vengono testati 160 mg/dì di EGb 761 contro i canonici 5 mg/dì di Donezepil per 6 mesi; il tutto in soggetti affetti da lieve o moderata demenza di Alzheimer. I risultati hanno dimostrato che l’efficacia clinica dell’estratto di Ginkgo è del tutto sovrapponibile a quella del Donezepil e quindi è perfettamente giustificato l’uso di entrambe le sostanze nelle forme lievi di malattia di Alzheimer, con l’importante differenza della alta tollerabilità del Ginkgo rispetto al Donezepil.
In questo studio molto interessante bisogna sottolineare un concetto che potrebbe sfuggire al lettore inesperto. Entrambe le sostanze sono state somministrate non a caso per sei mesi, in quanto dopo tale periodo l’efficacia di entrambe inizia a declinare fino ad esaurirsi del tutto permettendo alla demenza di riprendere il suo cammino neurodegenerativo.
In effetti il suo utilizzo viene proposto per il deterioramento psichico, per le disfunzioni sessuali e anche per la malattia di Alzheimer con dubbi e contrastanti pareri. Da un’analisi approfondita della letteratura in merito, eseguita tramite una revisione critica di 36 lavori e i cui risultati sono stati pubblicati sul “Cochrane Database SystRev.”2009, emerge che nelle sperimentazioni in cui Ginkgo veniva utilizzato per la demenza di Alzheimer o demenze avanzate, non c’era alcun beneficio rispetto al placebo.
Il Ginkgo con le sue provate proprietà antiaggreganti piastriniche e vasodilatatrici, tende a migliorare la perfusione cerebrale arrecando miglioramenti nelle prime fasi di un disturbo cognitivo e soprattutto in quelli che riconoscono come causa principale problematiche cerebrovascolari come ad esempio l’ipertensione arteriosa accompagnata spesso da micro infarti multipli. Questi quadri comportano usualmente un rallentamento psicomotorio con inerzia, deficit di attenzione e concentrazione e disturbi della memoria. In questo ambito Ginkgo può essere di aiuto andando a rallentare la progressione del deterioramento e in alcuni casi permette un recupero significativo delle capacità mnesiche.
Zafferano
Lo stimolo per una ricerca scientifica di altre erbe tradizionali utili per contrastare il declino cognitivo viene anche da un articolo pubblicato sul ”Journal Alternative Complementary Medicine” in cui si prende atto dell’importanza della conoscenza e sperimentazione delle piante popolari.
Lo zafferano è la spezia più costosa al mondo e fra le innumerevoli proprietà manifesta un netto effetto antidepressivo e una efficacia rimarchevole sulla demenza in generale.
Una meta-analisi svolta da ricercatori della Florida conclude che l’ effetto antidepressivo è netto e ben documentabile. Una serie di importanti studi e sperimentazioni su pazienti ambulatoriali affetti da depressione lieve e moderata, è stato sviluppato dal gruppo di ricerca guidato dal prof. Akhondzadeh dell’università di Teheran. Questi ricercatori hanno confrontato l’efficacia dello Zafferano nei confronti di due noti e potenti antidepressivi chimici quali l’imipramina (datato e potente antidepressivo triciclico) e la fluoxetina ( il famoso Prozac).
E’ emerso che la somministrazione di 30 mg/dì di petali di Zafferano hanno la stessa efficacia di 20 mg/dì di fluoxetina senza gli effetti collaterali di quest’ultima, inoltre lo stesso risultato si ottiene con la somministrazione della stessa quantità di zafferano nei confronti di 100 mg/dì di imipramina ( Tofranil). Ricercatori cinesi, con un lavoro pubblicato sul “Journal of Natural Medicine”, hanno individuato nella crocina il principio attivo responsabile dell’efficacia antidepressiva della spezia.
Stessi risultati promettenti vengono confermati dalla sperimentazione della spezia nel trattamento di forme lievi e moderate di Alzheimer in cui somministrata alla dose di 30 mg/dì per 5 mesi in 54 pazienti, si è rivelata efficace quanto il Donezepil (Aricept) nel rallentare il declino cognitivo senza mostrare alcun effetto collaterale.
La Dott.ssa Russo di Roma in un articolo pubblicato su “ Courrent Chemical Chemistry” spiega molto bene un concetto importante in questo settore della ricerca: nella terapia di una malattia multifattoriale (dovuta a più cause) come l’Alzheimer occorre studiare e testare sostanze multifunzionali (che hanno azioni su diversi punti d’attacco ) le quali spesso hanno la loro origine da fonti naturali. Difficilmente un farmaco che agisce su un singolo bersaglio specifico avrà efficacia ma piuttosto sostanze vegetali che agendo sia come antiossidanti ( blocco dell’amiloide) sia a livello sinaptico-chimico ( aumento dell’acetilcolina) sia a livello ematico-vascolare (aumento dell’irrorazione cerebrale) avranno la possibilità di un’evidenza clinica apprezzabile.
Nel campo della demenza le piante più promettenti sembrano essere lo Zafferano, il Ginkgo Biloba, la Salvia e l’Huperzia Serrata, conosciuta dalla medicina cinese, la quale tramite un alcaloide (Uperzina A) inibisce la degradazione della acetilcolina con un’efficacia superiore ad alcuni noti farmaci prescritti abitualmente.
Al termine di questo studio devo rispondere alla domanda di un collega che mi chiedeva come mai avessi speso tanto tempo nella stesura di un lavoro dedicato ad una patologia della cosi detta terza età o giù di lì.
La risposta è stata inattesa in quanto ho spiegato che sui trattati di neurologia il “declino cognitivo lieve” appartiene ai 50-60enni ma nella pratica clinica quotidiana appartiene ai 40enni e spesso ai 30enni per il diffuso consumo di droghe e alcool che minano fin dalla giovane età doni preziosi quali la memoria e la capacità ideatoria.
In tutto questo sicuramente una grossa responsabilità è posseduta dall’uso precoce e diffusissimo della cannabis. Gli studi che attestano il potere tossico della droga sulla memoria e sulla capacità di apprendimento sono molti e inoppugnabili ma, stranamente, vengono passati sotto silenzio o emarginati come scomodi. Nella pratica clinica capita spesso di riconoscere i consumatori di sostanze o alcool, dalla messa in evidenza di deficit cognitivi latenti che richiedono numerose volte la ripetizione di concetti elementari e semplicissimi. A volte, anche a trent’ anni, capire e memorizzare le modalità di assunzione di un farmaco diventa un’impresa alla quale il sanitario deve partecipare con una grande pazienza e comprensione.
Quindi l’utilizzo oculato di queste spezie non riguarda solamente la seconda età ma anche e soprattutto i giovani in quanto suscettibili di grossi recuperi cognitivi e mnemonici se curati tempestivamente e in maniera adeguata.
Dott. Claudio Sandri
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